L’ANGOLO DI SANT’AGOSTINO
23 Agosto 2015LA PAROLA DELLA SETTIMANA
29 Agosto 2015RIFLESSIONI SU SANT’AGOSTINO- del PROF. GIOVANNI CATAPANO
Riflessione per la festa di sant’Agostino
Parrocchia di sant’Agostino, Torre di Pordenone, 22-‐23 agosto 2015
ant’Agostino fu per quasi 35 anni vescovo della città nordafricana di Ippona, oggi in
Algeria, città in cui morì il 28 agosto del 430. Predicando come vescovo, sicuramente egli
commentò molte volte il capitolo 6 del vangelo di Giovanni, che abbiamo ascoltato in
queste ultime cinque domeniche. Per quanto riguarda in particolare il brano evangelico di
oggi, possediamo il testo di un’omelia da lui predicata il giorno di san Lorenzo nell’anno 414.
Si tratta di una delle 124 omelie agostiniane che, nel loro insieme, commentano dall’inizio alla
fine tutto il quarto vangelo. Vorrei trarre da questa omelia, che è la numero 27, alcuni spunti
che ci permettano, da un lato, di cogliere meglio il messaggio evangelico e dall’altro lato, di
avvicinarci all’esperienza di fede di questo nostro grande santo e Padre della Chiesa.
Il brano evangelico odierno si colloca alla fine del capitolo 6 del vangelo di Giovanni e si
articola in due momenti. In primo luogo, il testo riferisce la risposta data da Gesù ai molti
discepoli che erano rimasti scandalizzati dal discorso sul pane di vita che egli aveva rivolto ai
Giudei nella sinagoga di Cafarnao. Gesù infatti aveva detto: “Chi mangia la mia carne e beve il
mio sangue rimane in me e io in lui”. I discepoli ritenevano questa parola “dura” e
inascoltabile, cioè troppo difficile da accettare. Gesù li avverte che le parole da lui pronunciate
sono spirito e sono vita, ma aggiunge che tra i suoi discepoli vi sono alcuni che non credono e
ripete che nessuno può venire a lui se non gli è concesso dal Padre. Udito questo, molti dei
suoi discepoli si ritirano e smettono di seguirlo. In secondo luogo, l’evangelista riporta il
dialogo di Gesù con i Dodici. Alla domanda provocatoria di Gesù: “Volete andarvene anche
voi?”, Pietro, a nome anche degli altri, risponde che loro hanno creduto e conosciuto che Gesù
è “il Santo di Dio”.
Il brano evangelico ci pone dunque di fronte a due opposte reazioni di fronte
all’autoproclamazione di Gesù come il vero e vivo pane disceso dal cielo: da una parte, ci sono
quei discepoli, e sono molti, che non credono e se ne vanno; dall’altra parte, ci sono i Dodici
che, invece, credono e riconoscono in Gesù colui che trasmette la vita eterna di Dio.
Il tema centrale del brano evangelico odierno è pertanto quello della scelta: restare con
Gesù oppure andarsene. Ciò è suggerito anche dalla prima lettura di oggi, tratta dal libro di
Giosuè. Il popolo di Israele, radunato a Sichem, è chiamato a decidere se servire il Signore,
come faranno Giosuè e la sua casa, oppure gli dèi degli altri popoli che gli Israeliti hanno
incontrato. Dobbiamo scegliere se imitare Giosuè e Pietro, oppure accodarci ai molti che
hanno preferito tornare indietro.
Nella sua omelia, sant’Agostino sottolinea che questa scelta fondamentale e decisiva è
anzitutto una scelta di fede. I discepoli che se ne vanno, non seguono più Gesù perché non
credono in lui; Pietro e gli altri, al contrario, rimangono perché credono. Cito qualche
passaggio dalla predica di sant’Agostino: «[Gesù] non dice: Tra voi vi sono alcuni che non
capiscono; ma, spiegando il motivo per cui non capiscono, dice: Tra voi vi sono alcuni che non
credono; ecco perché non capiscono: perché non credono. Il profeta disse: Se non crederete,
non capirete (Is 7, 9 sec. LXX). Per mezzo della fede ci uniamo a lui, per mezzo dell’intelligenza
veniamo vivificati. Prima uniamoci a lui per mezzo della fede, per essere poi vivificati per
mezzo dell’intelligenza. Chi non si unisce al Signore, gli oppone resistenza e chi gli oppone
resistenza non crede. E come può essere vivificato colui che resiste al Signore? Egli volta le
spalle al raggio della luce che dovrebbe illuminarlo: non distoglie lo sguardo, ma chiude la sua
mente. Vi sono – dunque – alcuni che non credono. Credano e si aprano; si aprano e saranno
illuminati» (cap. 7; trad. NBA, leggermente modificata).
S
E più avanti: «Vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo,
ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita
eterna offrendoci il tuo corpo e il tuo sangue. E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice:
abbiamo conosciuto e creduto, ma abbiamo creduto e conosciuto. Abbiamo creduto per poter
conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a
conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il
Cristo Figlio di Dio, cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che
tu stesso sei» (cap. 9; trad. NBA).
Il commento di sant’Agostino illustra il corretto ordine che deve esserci tra il credere e
il capire. Per capire la parola del Signore, bisogna anzitutto credere; se non si ha fede, invece,
la parola del Signore appare dura, inascoltabile. Così, per capire che cosa vuol dire Gesù
quando afferma: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”,
occorre per prima cosa credere in lui, fidarsi di lui e affidarsi a lui. Credendo in Gesù, si potrà
allora capire il senso spirituale delle sue parole, che sant’Agostino spiega nei seguenti termini:
«Noi dimoriamo in lui, se siamo le sue membra; egli dimora in noi, se siamo il suo tempio. È
l’unità che ci compagina facendoci diventare membra di Cristo. Ma che cos’è che crea questa
unità se non la carità? E la carità di Dio donde nasce? Domandalo all’Apostolo. La carità di Dio
– egli risponde – è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato
donato (Rm 5, 5)» (cap. 6; trad. NBA). La comunione con Gesù, espressa dall’immagine di
mangiare la sua carne e bere il suo sangue, ha quindi come effetto la comunione dei credenti
tra loro, la loro edificazione come corpo mistico di Cristo e come tempio dello Spirito Santo, il
loro essere Chiesa nell’amore reciproco ispirato e donato da Dio.
Sant’Agostino visse in prima persona il dramma della scelta di credere o non credere.
Educato da sua madre Monica nella fede cattolica, da giovane se ne allontanò, perché non
voleva accettare di credere prima di capire: egli, con la sua straordinaria intelligenza, voleva
capire senza dover credere. La sua conversione maturò quando egli comprese che non
avrebbe potuto avere accesso alla verità su Dio senza la fede, e che la fede comportava
l’inserimento nella comunità ecclesiale e l’incorporazione a Cristo mediante il battesimo.
L’aprirsi della porta della fede dischiuse ad Agostino una conoscenza e una comprensione
sempre più profonde del mistero di Dio e dell’uomo, grazie alle quali egli divenne uno dei più
grandi e influenti dottori della Chiesa.
Il suo insegnamento, ancora vivo e attuale, ci invita oggi a ringraziare Dio per il dono
della fede e a pregare perché, credendo in Cristo, possiamo progredire sempre più nella
comprensione delle sue parole di vita eterna.
Giovanni Catapano