Riflessione per il triduo di preparazione spirituale alla festa liturgica di sant’Agostino

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Riflessione per il triduo di preparazione spirituale alla festa liturgica di sant’Agostino

Parrocchia di Sant’Agostino, Pordenone, 28 agosto 2021

Buonasera. Sono lieto di poter condividere con voi una riflessione in occasione della festa liturgica di sant’Agostino di quest’anno. Ringrazio don Marino per questa opportunità. Don Marino mi ha chiesto di parlare dell’attualità di sant’Agostino in relazione al cammino di preparazione all’Assemblea Sinodale intrapreso dalla nostra diocesi, in sintonia con analoghi cammini della Chiesa italiana e della Chiesa universale. Per svolgere il compito che mi è stato assegnato, ho scelto di concentrarmi sul tema della formazione. In primo luogo, cercherò di mostrare che questo tema costituisce un presupposto indispensabile per le finalità dell’Assemblea Sinodale diocesana[1]. In secondo luogo, presenterò brevemente un’opera di sant’Agostino che è dedicata proprio alla formazione di chi è chiamato a scrutare e a esporre la Parola di Dio.

 

Comincio dunque dal primo punto: Assemblea Sinodale e formazione. La formazione è, insieme alle relazioni, uno dei termini principali sui quali le parrocchie e le unità pastorali della nostra diocesi hanno posto l’accento rispondendo al questionario formulato in occasione della recente visita pastorale del Vescovo. Che rapporto c’è tra questo tema importante e l’Assemblea Sinodale che si sta preparando in diocesi? C’è un rapporto stretto e articolato. Lo si evince anzitutto dal fatto che entrambi i Quaderni preparatori dell’Assemblea mettono in risalto la centralità della formazione, «esigenza che diventa bisogno per chiunque vuole crescere» (Quaderno Secondo, par. 6). Questa «parola emergente, e mai invecchiata» (Quaderno Primo, par. 14), si declina in vari ambiti (personale, familiare, catechistico, liturgico), è attribuita a diversi soggetti (non solo le nuove generazioni, ma anche gli adulti, cioè genitori, catechisti, diaconi e presbiteri) e ha per oggetto differenti realtà (il Vangelo da un lato e la cultura del nostro tempo dall’altro).

Che il nesso tra formazione e Assemblea Sinodale sia essenziale, lo si può capire inoltre riflettendo sulla natura e sullo scopo di ciascuna. L’Assemblea Sinodale potrebbe essere definita come un rimettersi in cammino tutti insieme per riannunciare il Vangelo tutti insieme. È una strada che viene condivisa (questo significa etimologicamente la parola “sinodo”) al fine di tracciare un’altra strada da condividere, quella di una nuova evangelizzazione. Lo scopo dell’Assemblea Sinodale è dunque quello di agevolare nella nostra diocesi la trasformazione missionaria della Chiesa, come indicato da Papa Francesco nella Evangelii gaudium. Si tratta di un processo di riforma che non investe soltanto le strutture, ma coinvolge direttamente la persona di ogni singolo fedele. «Siamo giunti ad una svolta che interpella ciascun battezzato a fare la propria parte perché la fede risplenda nel nostro tempo con la sua inesauribile forza di umanità e di pace per tutti» (Quaderno Primo, par. 22).

È precisamente questo il punto di innesto tra la riforma missionaria, a cui è finalizzata l’Assemblea Sinodale, e la formazione. La formazione in generale, infatti, è il processo attraverso il quale una persona perfeziona le proprie capacità diventando in grado di compiere nel modo migliore ciò di cui è capace. Nello specifico, tutti i battezzati possiedono, in virtù del battesimo, una capacità missionaria: «È il battesimo, infatti, che abilita ogni credente ad andare dappertutto per portare ad ogni persona l’annuncio di amore e di salvezza del Risorto» (Quaderno Primo, par. 23). Il compito missionario al quale ogni battezzato è chiamato, tuttavia, può essere svolto al meglio solo mediante un’adeguata formazione. Nessuno si sognerebbe di inviare un missionario in terre lontane senza prima averlo formato come si deve; analogamente, non è pensabile che un battezzato possa operare bene come evangelizzatore senza una formazione adatta al tipo speciale di evangelizzazione a cui è chiamato nel proprio ambiente quotidiano di vita. Senza formazione, non ci può essere buona evangelizzazione. Il fine dell’Assemblea Sinodale, cioè la trasformazione missionaria della Chiesa di Concordia-Pordenone, non può essere veramente raggiunto senza la formazione di tutti i battezzati che compongono la nostra Chiesa diocesana.

Il rapporto tra Assemblea Sinodale e formazione può essere chiarito con una similitudine tratta dal mondo sportivo, che in questa indimenticabile estate del 2021 ha regalato a noi italiani grandi soddisfazioni. Non sembri irriverente un tal genere di paragone: lo usava già san Paolo nelle sue lettere (1 Cor 9, 24-27). Immaginate una squadra di calcio dal glorioso passato che si riduca a giocare soltanto in difesa, perdendo gradualmente posizioni in classifica e stima in se stessa. Immaginate ora un allenatore che voglia cambiare il gioco di questa squadra, facendola uscire dalla propria metà campo e riportandola ad avere l’iniziativa, a costo di correre qualche rischio nel reparto difensivo. Alla squadra verranno dati nuovi schemi e ai giocatori saranno attribuiti ruoli differenti rispetto a prima. Per attuare gli schemi e svolgere i loro nuovi ruoli, i giocatori avranno bisogno di modificare i loro allenamenti e le loro relazioni in campo. Mettete ora al posto della squadra la nostra Chiesa diocesana, al posto dell’allenatore il nostro Vescovo e al posto dei giocatori tutti noi battezzati della diocesi: se vogliamo essere una Chiesa in uscita, che prenda l’iniziativa e si spinga coraggiosamente in avanti con proposte innovative di evangelizzazione, tutti dobbiamo accettare di modificare i nostri schemi precedenti e prepararci a quelli nuovi con la formazione missionaria necessaria a ciascuno di noi.

L’Assemblea Sinodale ci offre una grossa opportunità, quella di contribuire alla definizione dei nuovi “schemi di gioco” e all’individuazione delle forme di “allenamento” di cui abbiamo bisogno per attuarli. Fuor di metafora, attraverso le fasi di ascolto e di confronto dell’Assemblea Sinodale, potremo aiutarci reciprocamente a capire quali passi compiere «per diventare discepoli del Maestro Gesù, il quale uscì lungo le strade del mondo per incontrare ogni situazione umana» (Quaderno Secondo, par. 7), consapevoli e fiduciosi che, come egli ci ha insegnato, «ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro» (Lc 6, 40).

 

Passo ora al secondo punto: che cosa può dirci sant’Agostino su questo tema così cruciale della formazione indispensabile per l’evangelizzazione? Può dirci molte cose e importanti. Per ragioni di tempo, mi limito a ricordare una sola tra le sue tantissime opere, il cui titolo latino è De doctrina christiana. Non è facile tradurre questo titolo in italiano. Il nome latino doctrina infatti viene dal verbo docere, “insegnare”, e può significare sia il processo con cui si insegna, sia il contenuto o l’effetto di tale processo. Il termine di solito viene reso in italiano con parole quali “insegnamento”, “istruzione”, “dottrina”, “cultura”, ma non sarebbe affatto sbagliato tradurlo anche con “formazione”: una formazione che, nel caso del De doctrina christiana, mette al centro la Parola di Dio, esattamente come la formazione di cui hanno bisogno gli evangelizzatori (cfr. Quaderno Primo, par. 14 = Quaderno Secondo, par. 6).

L’opera si rivolge alle persone dedite allo studio delle sacre Scritture, con lo scopo di trasmettere loro alcuni precetti utili per esaminare ed esporre il testo sacro, in modo tale che esse risultino in grado di spiegarne autonomamente i sensi nascosti. L’autore paragona il proprio compito a quello di un maestro di lettere dell’alfabeto: come colui che insegna l’abbiccì rende gli scolari capaci di leggere da soli, così Agostino, insegnando le norme contenute nel De doctrina christiana, renderà i suoi lettori capaci di venire a capo delle oscurità delle sacre Scritture senza dover sempre ricorrere a qualche altro interprete. I nuovi evangelizzatori di oggi dovrebbero essere molto interessati al De doctrina christiana, perché l’assiduità del loro necessario contatto con la Parola di Dio esige lo sviluppo di una capacità di comprensione autonoma del testo biblico, come quella promessa dall’opera di Agostino.

La trattazione prende avvio da tre distinzioni fondamentali. La prima è quella tra modus inveniendi e modus proferendi, ossia tra il modo di trovare le cose da capire nelle Scritture e il modo di esporre le cose capite. Questa distinzione sta alla base della divisione dell’opera in due parti: quella ermeneutica de inveniendo, nei libri I-III, e quella retorica de proferendo, nel libro IV. Non basta infatti aver trovato la verità nel Vangelo: occorre anche annunciarla e spiegarla agli altri; d’altra parte, non si può annunciare e spiegare se non ciò che si è trovato. Per questo l’evangelizzazione non è mai soltanto una scoperta né soltanto una comunicazione, ma è una scoperta comunicata e la comunicazione di una scoperta, la scoperta della verità del Vangelo.

La seconda distinzione fondamentale posta da Agostino è quella tra res e signa, cioè tra cose e segni. Le “cose” in senso proprio sono quelle che non vengono adoperate per significare qualcosa, ossia quelle che non sono segni. Delle “cose” significate dalle Scritture Agostino parla nel libro I del De doctrina christiana, mentre riserva i libri II e III ai segni con cui le Scritture significano quelle cose. Le “cose” in questione sono il vero oggetto della fede cristiana e possono riassumersi in quattro punti: Dio come Trinità; Cristo come Sapienza divina incarnata e via della nostra salvezza; la Chiesa; i destini finali dell’anima e del corpo. Penso che la distinzione agostiniana tra cose e segni possa essere di grande giovamento alla nostra Assemblea Sinodale diocesana e ai suoi scopi. Essa infatti ci esorta a fissare la nostra attenzione sul contenuto essenziale della nostra fede, attraverso e al di là dei vari e variabili sistemi di segni (linguistici, simbolici, rituali) che la significano, e ci ricorda che tale contenuto non è fatto né di idee né di valori astratti, ma di cose concrete, di res. La fede cristiana ci mette in relazione con realtà viventi, a partire dalla realtà suprema che è fonte di ogni altra realtà, cioè Dio stesso. Rievangelizzare le nostre famiglie, i nostri ambienti di lavoro, i nostri quartieri, le nostre città, vuol dire riannodare i loro fili spezzati con queste res e quindi con le dimensioni invisibili ma realissime dell’essere.

La terza e ultima distinzione proposta da Agostino è quella tra frui e uti, ossia tra godere e usare, intesi come due modalità opposte di relazionarsi a una certa realtà. Godere significa restare attaccati con l’amore a una cosa per se stessa, mentre usare significa riportare, ricondurre una cosa a ciò che si ama. In altre parole, si gode di una cosa come fine in sé, mentre si usa una cosa in riferimento a un’altra. L’esempio fatto da Agostino è quello di persone che si trovano in terra straniera (in latino si dicono peregrini) e che desiderano ritornare nella loro patria, perché credono che soltanto in essa potranno vivere felicemente. Questi peregrini hanno bisogno di mezzi di trasporto per raggiungere la loro meta e devono servirsi di essi. Ebbene, continua Agostino, noi in questa vita mortale non siamo altro che pellegrini lontani dal Signore, e per tornare alla nostra patria celeste, in cui possiamo finalmente essere felici, dobbiamo usare questo mondo, non certo godere di esso, come sarebbe sbagliato e inopportuno per quei peregrini mettersi a godere dei mezzi di trasporto che servono a loro solamente per il viaggio. Le sacre Scritture non solo ci rivelano le res che non riusciamo a vedere con i nostri occhi, ma ci insegnano anche come comportarci rispetto alle cose tangibili che abbiamo intorno a noi. La fede modifica sia la nostra percezione del mondo, sia il nostro modo di abitarlo. Ci porta a stare nel mondo senza sentirci appartenenti al mondo, a guardare alle cose del mondo come un mezzo per viaggiare verso Dio. La distinzione tra godere e usare dà un senso a quel “camminare insieme” che è l’essenza della sinodalità: dà un senso di marcia, perché indica la meta finale del cammino, e mostra che il mondo non è altro che la strada su cui si cammina, non il traguardo. La Chiesa, anche la nostra Chiesa diocesana, può rimettersi sinodalmente in cammino missionario solo se non smette di ricordare a sé e di ricordare agli altri, come ha fatto sant’Agostino, che l’esistenza umana nel mondo è essa stessa un cammino, il cammino di un pellegrino lontano dalla sua patria.

Abbiamo visto che Agostino definisce il godere come il restare attaccati a una cosa amandola per se stessa e non come mezzo in vista di altro. È chiaro che la res di cui bisogna godere è, in definitiva, una sola, ossia Dio. Dobbiamo amare Dio per nessun’altra ragione che per godere di Lui. Del prossimo e di noi stessi, invece, non dobbiamo propriamente godere, ma dobbiamo amare il prossimo e noi stessi per Dio. Nel libro I del De doctrina christiana Agostino scrive che vive giustamente e santamente chi ha un amore ordinato, cioè chi ama ogni uomo in quanto uomo per Dio, e Dio per Dio stesso. Ciò non è altro che il duplice precetto dell’amore, quello di Dio e quello del prossimo, dal quale dipendono tutte le altre prescrizioni bibliche, come Gesù ha insegnato. Dobbiamo dunque amare tutti coloro che possono godere di Dio insieme con noi; volere che tutti amino Dio insieme con noi; riferire a quell’unico fine tutto l’aiuto che diamo o riceviamo. Questo è il nocciolo etico del Vangelo e non può non essere il nocciolo anche dell’evangelizzazione. Lo ripeto, perché non dovremmo dimenticarlo mai: “amare tutti coloro che possono godere di Dio insieme con noi; volere che tutti amino Dio insieme con noi; riferire a quell’unico fine tutto l’aiuto che diamo o riceviamo”.

  Dal riconoscimento che l’amore di Dio e del prossimo è la pienezza e il fine dell’intera sacra Scrittura, discende un’importantissima conseguenza ermeneutica, ossia che non vi è autentica comprensione di un qualsiasi testo biblico se essa non è tale da edificare questo duplice amore. Agostino ne era talmente convinto da testimoniarlo personalmente in una sua lettera, la n° 55, con le seguenti parole: «Non solo ho creduto al mio Dio che da quei due precetti dipendono tutta la Legge e i Profeti [l’allusione è a Mt 21, 40], ma l’ho anche sperimentato e lo sperimento ogni giorno, dal momento che non mi si apre alcun mistero o discorso alquanto oscuro tratto dalle Scritture ove non trovi quei medesimi precetti». Ciò non vuol dire che, viceversa, ogni interpretazione utile all’edificazione del duplice amore di Dio e del prossimo sia esatta, perché – come Agostino giustamente precisa – non lo è se non coglie il pensiero dell’autore sacro; anche se non esatta, tuttavia, essa non sarà menzognera e lo sbaglio di chi la compie sarà simile a quello di chi esce fuori strada continuando però a camminare nella direzione giusta. Camminare nella direzione giusta, cioè nella direzione dell’amore: questo è ciò che conta per la nostra Assemblea Sinodale e per la nuova evangelizzazione. Lo studio delle sacre Scritture che Agostino propone è quello che veramente serve alla formazione dei nuovi evangelizzatori, perché deve consentire loro non di superare un esame accademico di esegesi, ma di innalzare nei cuori l’amore per Dio e per il prossimo. L’attualità di sant’Agostino, in definitiva, è quella di rammentarci ancora una volta la verità delle sublimi parole pronunciate da Paolo nella Prima lettera ai Corinzi, con le quali concludo:

 

«Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.

Se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.

E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe».

 

Grazie, buona festa di sant’Agostino e buon cammino sinodale!

 

Giovanni Catapano

[1] Riprendo qui quanto ho scritto in un articolo per il settimanale diocesano «Il Popolo», di prossima pubblicazione.